Descrizione
Quarta
Su Cioran, «aristocratico del dubbio e della contraddizione» s’è scritto molto. Lo si è ricollegato ad altri pensatori, si sono raccolte testimonianze. Ma nessuno, prima di Bernd Mattheus, aveva scritto una biografia così ricca, dettagliata e nel contempo viva del filosofo. Una messe di informazioni inaspettate, che ad esempio ci mostrano Cioran prima dell’emigrazione o anella sua modesta abitazione parigina anche nel pieno del successo. Un ritratto che, seguendo passo a passo la vita e il lavoro di Cioran, ci consente di rileggere con occhi nuovi il pensiero di questo grande autore.
Citazione
«Vero è, e in questo risiede il valore profondo del Suo lavoro, che Lei collega sempre l’evento all’idea, la biografia alla filosofia, così che il lettore, reso attento dagli innumerevoli dettagli, partecipa dello svolgersi di un dramma intellettuale» (Cioran a Bernd Mattheus)
Immagine di copertina
John Byam Liston Shaw, « And he begetteth a son, and there is nothing in his hand » (Ecclesiastes V:14), XIX sec.
Indice
Prefazione. Gli equivoci del genio (Vincenzo Fiore)
Prologo. Incontri con un misantropo cordiale
Della sventura di essere nati
L’idea di rovinare in qualche modo la propria vita
Esilio
«Tutto è apparenza»
«Esistere è un plagio»
Epilogo
Recensioni
Martino Ciano – “Gli Amanti dei Libri” – 22/06/2019
Nicola Vacca – “Liberi di scrivere” – 17/05/2019
Diego Infante – “Il Quotidiano del Sud” – 30/03/2019
Vincenzo Fiore – “TPI News” – 12/03/2019
… sicché non vivono fino alla morte se non quei molti che restano fanciulli tutta la vita. (Leopardi)
Al numero 21 di Rue de l’Odéon, nessuno risponde al telefono da giorni. Il 17 aprile 1988 un’agenzia di stampa americana diffonde la notizia del suicidio di Cioran. Si parla di avvelenamento. Alla porta del Privatdenker bussa un giovane trentacinquenne tedesco, Bernd Mattheus, studioso sopraffino con alle spalle già pubblicazioni su altre due figure radicali, come Antonin Artaud e Georges Bataille. Cioran apre la porta in accappatoio, è vivo, e sta provando a riparare un foro in un tubo dell’acqua.
Non pochi, fra i suoi detrattori, gli perdoneranno mai il fatto che sia morto sfinito fra i letti di un ospedale. Emblematico fu il caso di Alain Bosquet che nel suo testo La mémoire ou l’oubli arrivò a tacciare lo scettico dei Carpazi di pseudo pessimismo morboso, suggerendogli di impiccarsi, di cancellare la sua esistenza come atto di coerenza con i propri scritti. Travestiti da poliziotti con la penna nella custodia, alcuni dei critici letterari hanno investigato alla ricerca di prove, come se un cadavere dovesse certificare la prova tangibile della tragicità dell’esistere. Eppure già i lirici greci cantavano dell’impossibilità di riscattare la dolcezza anteriore alla nascita, se fosse bastato solo un cappio probabilmente Cioran non avrebbe esitato (anche gli antinatalisti contemporanei – fra cui D. Benatar, T. Ligotti e P. W. Zapffe – spiegano perfettamente che ritenere la nascita una catastrofe non suggerisca tesi a favore del suicidio). Ciò che invece ha reso sopportabile la sua esistenza è stata l’idea del suicidio, ovvero la consapevolezza di poter mettere fine in qualsiasi momento alla commedia del vivere:
Tutto il carico amaro dell’esistenza svanisce davanti al pensiero che possiamo arrestarlo in qualsiasi momento, che custodiamo dentro di noi l’immensa libertà della nostra assenza e che possiamo riscattare la nostra caduta in dolori sterili o nella banalità, grazie alla genialità negativa del suicidio. Se non fossimo in grado di immaginare – consolandoci in questo modo – l’opportunità di toglierci di mezzo, l’atto infinito della liberazione di sé, l’esistenza non avrebbe alcuna via di uscita da sé stessa, e la galera del respiro non potrebbe supporre alcun cielo. Quest’idea fa di ognuno di noi un padrone, e il fatto di non tradurla in pratica non ci rende schiavi. Sarà vero che i veri suicidi sono quelli non consumati? Conoscere la cura sicura del male e, ciò nonostante, portarlo ancora oltre. (Divagazioni).
Del resto, ancora oggi, ombre ben più oscure offuscano il pensiero e la vita del pensatore romeno. Non sono pochi coloro che hanno tentato di estrapolare le sue grida e i suoi anatemi per inserirli in tradizioni politiche che nulla hanno avuto a che fare con il suo pensiero. Un’infatuazione giovanile per i legionari di Corneliu Zelea Codreanu mai del tutto scontata, nonostante nei suoi scritti francesi e nelle sue interviste abbondino considerazioni come: «Così come del cancro si dice che non è una malattia ma un insieme di malattie, la Guardia di Ferro era un insieme di movimenti e, più che un partito, una setta delirante» (Apolide metafisico); oppure: «La quantità di imbecilli e di pazzi che ho ammirato! Quando penso al mio passato la vergogna mi sommerge. Tante infatuazioni che mi squalificano» (Quaderni 1957-1972). Bollato non solo come un autore reazionario, ma anche come il Pol Pot della letteratura, Cioran, che mai aveva dato ascolto ai pettegolezzi dei salotti letterari né alle mode accademiche, chiese proprio a Mattheus, che ne curava il testo, quasi per tutelarsi o per evitare di essere ancora strumentalizzato, di eliminare dall’edizione tedesca di Squartamento l’aforisma: «Non appena si esce nella strada, alla vista della gente, sterminio è la prima parola che viene in mente». L’estetica della scrittura sacrificata sull’altare del politicamente corretto, controprova che non occorreva spostarsi nella Spagna franchista per imbattersi nella messa al bando, o quantomeno in limitazioni, del pensiero cioraniano. Cioran già da tempo aveva confessato il suo malessere scaturito dagli equivoci, che trascinavano il suo nome in un passato ormai sepolto. L’8 febbraio 1972, amareggiato, egli scriveva al fratello di detestare la prima traduzione italiana de Le mauvais démiurge perché apparsa con le Edizioni de Il Borghese, marchio ancorato alla cultura di destra: «Si ha un bel fare, non si sfugge al passato. Che idiozia!» Ciò nondimeno, egli voltò le spalle anche all’Occidente benpensante che esigeva l’intellettuale impegnato, rifiutando ogni tipo di premio o partecipazione al dibattito pubblico, definendo il progresso un’ingiustizia dei padri nei confronti dei figli e ravvisando i rischi dell’utopia (οὐ ‘non’ τóπος ‘luogo’; il non-luogo, da nessuna parte).
La necessità di un lavoro rigoroso, come questo di Mattheus, sta nel fatto di restituire ai lettori un profilo non ideologico di una delle penne più controverse del Novecento. Lo studioso tedesco, attraverso l’analisi di documenti e un’attenta ricostruzione delle fonti, stimola la ricerca e ci ricorda quanto materiale, nonostante il moltiplicarsi di studi e pubblicazioni, sia ancora sconosciuto e inedito nel nostro paese. Conoscere la biografia del pensatore romeno significa immergersi nella sua opera, scevri da pregiudizi o da qualche etichettatura giornalistica.
Dissacratore di ogni bandiera, avverso a qualsiasi tipo di fede, Cioran ha recitato il requiem alla filosofia dei sistemi, svelandone gli imbrogli e denunciando chi, come Heidegger, aveva spianato, con gli artifici del linguaggio, la strada ad un tipo di pensiero povero di contenuto e ricco nella forma. Il lascito del filosofo che mai ha pensato di fondare scuole o di elaborare nuove dottrine, è quello di una delle requisitorie più estreme contro l’uomo, contro il mondo e contro Dio; pur essendo consapevole che persino la negazione può essere una catena. L’esistere è svelato, le illusioni sono cadute, le nostre miserie smascherate. Non c’è più spazio per nuove rovine, «l’uomo è il cancro della terra», l’estinzione è una necessità, perché finché c’è vita, non c’è speranza.
Vincenzo Fiore
Incredibile come la prospettiva di avere un biografo non abbia spinto ancora nessuno a rinunciare ad avere una vita. (Cioran)
Da qualche tempo – avrebbe raccontato – ho dei colloqui con una diciannovenne che ha tentato il suicidio. Quando è stata salvata, ha dichiarato di essere stata spinta a quel gesto da certi cupi passaggi dei miei scritti. Su iniziativa di alcuni conoscenti ho parlato con lei per tre ore e le ho spiegato come io intendessi il suicidio. Le ho mostrato perché l’idea (non l’atto!) del suicidio sia per me così importante. È proprio il pensiero di poter porre fine alla mia vita che mi aiuta a rimanere in vita.
Con un po’ di fortuna, Cioran viene scoperto durante l’adolescenza, come accade per Rimbaud, Artaud, Bataille. Una voce che infiamma in noi lo spirito di rivolta contro tutto e tutti, che ci parla direttamente e ci regala un’esperienza di lettura che, lo comprendiamo subito, difficilmente si ripeterà.
Il mio primo incontro – non con Cioran, ma con i suoi Sillogismi dell’amarezza – fu accompagnato da simpatia, approvazione ed entusiasmo. Mi trovai a registrare lo stesso paradosso che mi si era offerto anche alla lettura di Abū l-‘Alā’ al-Ma‘arrīs o di Manlio Sgalambro: lo scetticismo più nero era in grado di rasserenarmi! Cioran come cura ricostituente: «Qualche tempo fa ho incontrato qui a Parigi il poeta austriaco Ernst Jandl, dopo una sua lezione. Mi ha detto: leggo i suoi libri ogni volta che sono depresso». Ogni tanto Cioran raccontava di lettori cui aveva indirettamente salvato la vita. Sotto questo aspetto, i suoi Aveux et anathèmes (Confessioni e anatemi) svolgono la stessa funzione dei songs di Leonard Cohen: aiutano alcuni a sopportare la notte o il giorno successivo, ma lo fanno in maniera diametralmente opposta alla retorica di Camus e Sartre, il cui intento illuministico non riesce a liberarsi del ‘tono professorale’. Il dialogo tra scrittore e lettore, entrambi in preda alla disperazione, può avere invece un effetto catartico perché il primo dispone ancora delle parole (o dei suoni nel caso di un Cohen), invece di commettere un gesto folle contro gli altri o contro se stesso. Il fatto che Cioran considerasse la scrittura un differimento del suicidio o della vendetta attiva era per me disarmante al punto da chiedermi quale avrebbe potuto essere – di fronte a un’affermazione così radicale della propria posizione – il tema di una nostra conversazione, se mai un giorno ci fossimo incontrati. Questo mio studio vuole dimostrare, tra le altre cose, quanto sarà essenziale per lo scrittore Cioran il meccanismo di sostituzione.
All’inizio degli anni Ottanta accadde che il filosofo rumeno si presentò nell’appartamento di un conoscente comune. Aveva previamente telefonato, chiedendo se fosse opportuno chiamare in casa altrui dopo le 20. Quando ci incontrammo, dopo qualche schermaglia verbale fu chiaro che, in quanto traduttore designato del suo recentissimo opus magnum Écartèlement, Cioran volesse non soltanto conoscermi, ma anche mettermi alla prova: «Come tradurreste cafard?» «È il magone…» mormorai io. «Quindi con ‘magone’…?»
Solo anni dopo venni a sapere che quell’incontro casuale era stato arrangiato ad arte. La nostra conversazione era stata un misto di osservazioni acute elargite a mio personale divertimento (ad esempio riferendosi a Gabriel Marcel come al ‘feto di Nietzsche’) e di interessamento per i miei temi specifici (Artaud e Bataille), quando Cioran non si cimentava in esercizi di autodiscredito con domande del tipo: io, un rumeno, sono forse altro per i francesi che un semplice ladro zingaro? Ho commesso un errore a cambiare editore, sono stato sleale? Certo, ormai lo leggevano anche le donne dal parrucchiere, diceva, ma non aveva pur sempre ‘tradito’ il suo primo editore tedesco?
Mi disse che avrebbe avuto la possibilità di conoscere sia Artaud, sia Bataille, ma quando i due erano in vita, lui era ancora poco interessato a cercare la compagnia di altri scrittori. (Nel corso degli anni dovetti sorprendermi di quante persone conoscesse e di quanti fossero i pregiudizi contro cui combatteva). Quando finimmo per parlare di Henri Thomas, si espresse con enfasi sul conto della sua prima moglie, Colette (1918-2006), una bellezza straordinaria, la personificazione della ninfa. A quel tempo l’attrice e scrittrice, che negli anni Cinquanta aveva goduto di un discreto successo, come Artaud doveva aver trascorso già due decenni in un ospedale psichiatrico.
Cioran invidiava Georges Bataille per le sue considerazioni sulla noia, che aveva sentito un giorno alla radio. Un problema solitamente trascurato dai filosofi dell’accademia. Cioran si riferiva a una conversazione con Bataille della durata di venticinque minuti, in cui questi rispondeva ad alcune domande sulla propria vita. In una lettera inviatami il 22 gennaio 1982 tornava ancora una volta a raccontarmi di quando aveva «ascoltato un’intervista a uno sconosciuto, che mi ha colpito molto. Era Bataille». Radio France aveva trasmesso quell’intervento all’interno del programma ‘Qui êtes-vous?’, alle 20.30 del 15 luglio 1951. Durante la trasmissione si chiedeva a Bataille di parlare della sua infanzia. Nella trascrizione dell’intervista si legge:
ricordo soprattutto che ero molto pigro, e non posso certo affermare che amassi annoiarmi, ma la profonda noia in cui ho vissuto basta a spiegare come amassi fare qualsiasi cosa potesse distrarmi. […] Già la noia è assenza di meta. […] La mia educazione non era fatta di costrizioni. Al contrario, era un’educazione fatta di abbandono. I miei genitori non si curavano troppo di me, e in quella noia io soffrivo a stare da solo. Ricordo molto bene le ore trascorse nella penombra, sono state davvero le più dolorose della mia vita.
L’ora che trascorsi in compagnia di Cioran in quel giugno del 1981 non sfociò nella profonda delusione che solitamente si prova quando ci si aspetta di trovare una perfetta coincidenza tra la vita e l’opera di un autore. Nondimeno alcuni invitati, soprattutto quelli che tra loro erano scrittori, si congedarono con l’impressione che la conciliante serenità che avevano riscontrato nell’autore fosse in netto contrasto con l’opera scettica o addirittura misantropa del rumeno in esilio. Si dimentica però che con l’età Cioran aveva iniziato gradualmente ad aprirsi e anche, d’altro canto, che egli apparteneva a una generazione di autori che, a prescindere da certe rare eccezioni, non avevano ancora imparato a mettere in scena se stessi con strategie manifestamente mediatiche, a ‘vendere’ insomma il loro personaggio.
I tascabili di Cioran nelle mani di donne che ingannano l’attesa dal parrucchiere leggendo aforismi al vetriolo sono una stima errata, ma perdonabile, dell’opera, tanto più che da terzi venni a sapere che le provvigioni dell’autore, comprese quelle per le traduzioni, non erano sufficienti a mantenersi: ancora nel 1968 ammontavano nel complesso a 80.000 dei vecchi franchi, annotava Cioran nei suoi Cahiers. Se non altro, secondo un rating della rivista “Lire”, negli anni Ottanta il rumeno aveva sbaragliato addirittura Lévi-Strauss, Lacan e Barthes!
Recensioni
Ancora non ci sono recensioni.