Qui di seguito le prime venti pagine di La guerra non ci spezzò, di Tamara Lisitsian:
Prefazione
Questa storia ha due inizi: nel 1941 e nel 1961.
Ottobre, novembre, dicembre 1941. È il momento tremendo in cui a Mosca la radio informava che i tedeschi si avvicinavano sempre di più, erano quasi alle porte della città. Tutti correvano a scavare trincee, a portare il loro aiuto in difesa della città, mentre i giovani partivano volontari per il fronte.
I tedeschi non sono mai riusciti a prendere Mosca. Solo 11 chilometri restavano da conquistare: non sono mai giunti alla meta.
Quei volontari, ragazzi e ragazze, che lasciavano gli studi per la guerra sono sopravvissuti in pochi. Le loro peripezie, i loro sacrifici, sono raccolti, qui, nella corrispondenza di Tamara.
1961. Ero a Mosca per seguire la produzione di un film sulla tragica ritirata dei nostri soldati in Russia. La tragedia di quegli alpini distrutti dal gelo, con i sovietici alle calcagna, l’avevo seguita già da bambina. Mia madre spediva pacchi agli Alpini della Julia; tra loro erano molti nostri contadini. Ora le loro foto sbiadiscono sul piccolo monumento ai Caduti, a Gavarno, il nostro paesino da cui erano partiti. Ricordo gli indumenti caldi, i medicinali e le matite. Perché, mi spiegava mia madre, l’inchiostro gelava. Solo a matita potevano scrivere a casa.
Fu quando Beppe De Santis ricostruiva quel tremendo inverno, da grande maestro del cinema, che conobbi meglio Tamara Lisitsian: era regista, avevamo già fatto insieme un film inchiesta sulla Russia. Eravamo diventate subito amiche: parlava un italiano colto e preciso. Era vissuta a Roma diversi anni, appena sposata.
Era bella, simpatica, sempre serena. Chi avrebbe mai pensato che aveva affrontato vicende terribili, patito torture e sevizie, chi poteva immaginare ch’era stata in un campo di concentramento nazista? E che era riuscita a evadere, unica donna, con tre altri uomini? Solo per caso, un giorno seppi che non era potuta uscire con me perché aveva incontrato i reduci sopravvissuti del suo reparto, con cui si ritrovava ogni anno a Mosca. Lei non ne voleva parlare, ma io ero ostinatamente curiosa: l’Unione Sovietica, tutto quel mondo a noi poco conosciuto, con altri sistemi e problemi, mi appassionava. Lì si viveva la Storia, consapevoli di assistere ad avvenimenti immensi, immani…
Tamara non voleva parlarmi più di tanto di quel suo incontro. Era come timida, non voleva apparire eroica o speciale. Ma dovette dirmi che, sì, erano rimasti in pochi: delle 5.000 unità del suo reparto 9903, erano rimaste in vita solo 150 persone, all’incirca. Che lei stessa aveva solo 18 anni quando si era arruolata volontaria come paracadutista, che era stata lanciata dietro le linee tedesche ad agire come incursore e ricognitore, per fare saltare in aria treni e ponti.
A vedere Tamara così tranquilla, dolce, vestita con gusto, tutto questo era impensabile. E invece venivo a sapere che era stata campionessa georgiana di tiro, con il fucile toz 8, che aveva imparato ju-jitsu – e se ne era servita – e che poteva mettere insieme una mina come se fosse la ricetta di una torta.
Ero affascinata. Ammirata.
Volevo saperne di più. Decisi che l’avrei convinta a ricordare e a raccontare. Ci vollero trent’anni. Tanti anni di amicizia. Finalmente Tamara accettò di riunire e riordinare le lettere che i superstiti si erano scambiati tra loro nel corso dei decenni.
Inoltre, per celebrare il cinquantesimo Anniversario della Vittoria nel 1995, venivano pubblicate in un libro molte testimonianze e ricordi di altri reduci di guerra che unite alle testimonianze di Tamara, formano un racconto molto preciso dello svolgersi storico di quel periodo.
Il 9903 è un reparto così famoso che la xvª Scuola di Mosca gli ha dedicato un grande Museo, e in questa scuola, ogni anno, si celebrano gli eroi caduti e sopravvissuti. A quella riunione nell’Aula Magna cui Tamara partecipava sempre e di cui non mi raccontava.
Niente di quanto è raccolto in queste pagine è inventato.
Le lettere e i ricordi sono tanti.
Credo di avere avuto ragione di insistere: leggere queste pagine è il modo migliore per conoscere le storie eroiche delle persone buone, semplici, forti, che tutte insieme ebbero la costanza di resistere, sopravvivere, vincere, rimanendo ancora sognatrici disponibili e generose come prima. Gente che, se non è portata alla disperazione, si accontenta di poco e, per la maggior parte, è in sé molto buona.
Così nasce un affresco spontaneo, formato da conversazioni amichevoli fra chi è unito dai comuni ricordi, dal rispetto reciproco, dalle esperienze condivise. Persone che si esprimono con una sincerità totale e semplice.
Se ne ricava un’idea inaspettata dei sovietici, perché ci sono sempre stati presentati in modo diverso. Qui non ci sono intermediari. È un’occasione rara, li conosciamo quasi a loro insaputa.
Eliana de Sabata
So bene quanto ti fa soffrire rivivere quelle esperienze tremende. Ma davvero penso che devi fare ancora questa fatica, e devi ricordare, e raccontare. Chi non c’era, chi non sa, vorrà sapere. La generosità e l’eroismo, le donne li dimostrano sempre e da sempre, quando sono madri. Ma questa è una forza atavica, naturale e condivisa con le madri di tutta la natura.
L’eroismo per un ideale, per altri che non conosci nemmeno, la forza d’animo, che non è fanatismo ma consapevolezza del dovere di difendere la libertà — un bene insostituibile che vale più della vita — è ben altro. È in questa ragione d’eroismo, comune a uomini e donne, che essi sono veramente uguali e in questo io sento l’importanza di quello che hai vissuto. Il destino ha voluto che tu non morissi e quindi devi raccontare, per chi è rimasto là ma non è morto inutilmente e vive nella memoria nostra, nella nostra gratitudine. Ti prego, trova ancora la forza: ne hai dimostrata tanta. Pensi di non averne più? Non ti credo. Troppe sono le domande che ti vorrei fare. Ci troveremo e ne parleremo insieme. Ma per ora non puoi dire di no alla tua ‘sestricka’ [sorellina], come mi hai sempre chiamata.
Aspetto tue notizie e ti abbraccio forte forte
Tua Eliana
Però adesso mi stai convincendo che forse non ho del tutto ragione.
Forse i tempi cambieranno, verranno altre generazioni che vorranno sapere dei nostri sforzi, delle tragedie e delle vittorie.
Comincio a pensare che forse i nostri ricordi potranno essere utili a qualcuno, in futuro.
Però prima dei miei ricordi personali e delle lettere dei miei compagni di guerra, che ho conservato, è utile leggere poche pagine di altri ricordi e racconti sempre di reduci della guerra, che daranno la possibilità ai giovani lettori di rendersi conto della tragica situazione della Russia del 1941. Del perché noi quasi ragazzi siamo andati in guerra come volontari e ci siamo sentiti responsabili della salvezza del nostro Paese, anche a costo di morire.
Ti mando la prima parte di questi ricordi e cercherò di scrivere e raccogliere gli altri. Spero di trovare da Dio la forza di tuffarmi di nuovo nel passato e spero di essere capita, oggi.
Faccio tutto questo per te, mia sorellina, così affettuosa e intelligente, sai che non posso dirti di no.
Ti abbraccio forte forte
Tua Tamara
Seguendo il piano Tifone, Mosca era stata attaccata da 75 divisioni naziste. Questo voleva dire che oltre ad alcune migliaia di carri armati e aerei, sulla capitale russa si erano scagliati un milione e ottocentomila soldati tedeschi.
Questi numeri noi li abbiamo saputi più tardi, ma allora, durante l’attacco nemico si vedevano solo interminabili file di carri armati, cannoni, soldati nazisti su camion e motociclette. Scortati dagli aerei, coprivano cielo e terra come orde di cavallette, di giorno e di notte. Sembravano spuntare di continuo dalla terra, distruggendo tutto ciò che capitava sul loro cammino.
Per mostrarti con quanta rabbia e crudeltà i tedeschi si avventavano su Mosca, ti presento un episodio molto rappresentativo della loro campagna russa, descritto dagli stessi nazisti nel diario militare di un reparto, il 10 ottobre 1941. Diario che è stato citato nel libro del generale Guderian Memorie di un soldato:
Sempre avanti, avanti… Vediamo davanti a noi una colonna di soldati nemici. Li annientiamo completamente. Vicino si vede un ponte. Il ponte è di legno, con due marciapiedi. Accanto al ponte si muovono freneticamente degli artificieri russi. In questo momento una folla di profughi con decine di mucche e carri sta attraversando il ponte. Il sergente N. capisce subito cosa bisogna fare. I russi potrebbero far saltare per aria il ponte in qualunque momento. Senza fermarsi lui si lancia sul folto branco. Il suo carro armato schiaccia le mucche, gli uomini, i cavalli e i carri dei contadini sul ponte. Dopodiché ci impadroniamo di un altro ponte e proseguiamo. Durante questo combattimento i nostri carri armati hanno distrutto quattro cannoni anticarro, cinque altri punti armati di artiglieria, una grande quantità di mitragliatrici, lanciafiamme, camion, vari carri armati, tiranti a catena.
Ma a chi appartenevano, mi chiedo, questi mezzi militari? Chi erano gli uomini annientati insieme ad essi mentre combattevano gli invasori? Sai, Eliana, qui come negli altri diari, appunti, documenti, vantandosi delle vittorie, elencando gli attacchi e i trofei, gli hitleriani non degnano di attenzione l’enorme quantità di morti tra i russi, militari e civili, che cercavano di difendere il proprio Paese. Li disprezzano talmente da trattarli e descriverli alla stregua di mucche schiacciate in un quadro di sterminio totale.
Il 12 ottobre 1941 fu invasa la città di Mozhajsk, a cento chilometri da Mosca. La prima cosa che vi fecero i tedeschi, fu rinchiudere nella cattedrale tutti i maschi della città, compresi adolescenti e vecchi, e bruciarli vivi .
Prima della caduta di Mozhajsk, nelle regioni Vjazma e Brjansk, tra il 7 e 14 ottobre 1941 i tedeschi erano riusciti a bloccare e accerchiare quattro armate russe. Così queste non avrebbero potuto più ostacolare l’offensiva nazista su Mosca. Erano convinti che la via verso Mosca fosse libera. Ma alcuni gruppi di soldati russi, salvatisi dall’accerchiamento tedesco, nonostante fossero privi di collegamento con il comando centrale, continuavano a resistere sostenuti dalla popolazione che, spinta dalla situazione disastrosa, formava spontaneamente squadre di partigiani e sabotatori.
I tedeschi subivano grandi perdite. La loro avanzata rallentava ogni giorno di più. Essi persero in questi mesi d’autunno centotrentacinquemila tra soldati e ufficiali oltre a molte armi e mezzi militari. «I generali Gadler, Kluge e Rundstedt — scrive nel suo libro il generale H. Guderian — vista l’imminenza dell’inverno, proposero al Quartier Generale di spostare l’offensiva verso Mosca alla primavera del 1942, ma non ottennero il consenso di Berlino».
Cominciò così la tremenda battaglia di Mosca, alla quale presero parte più di un milione e mezzo di soldati e ufficiali tedeschi. Più di 40 distaccamenti partigiani contribuirono alla difesa della capitale russa sin dai primissimi giorni, prima dell’arrivo dalla Siberia di nuove divisioni dell’Armata Rossa regolare: un reggimento di fucilieri motorizzati, vari gruppi di incursori, esploratori e guastatori dell’nkvd (il kgb di allora), provenienti da Mosca e dintorni, il reparto militare 9903 e molti drappelli con compiti speciali del reparto esploratori appartenente allo Stato Maggiore del Fronte Est. In tutto si erano riuniti in pochissime settimane 17.000 uomini.
Non tutti questi patrioti erano preparati e armati a sufficienza per eseguire azioni militari. Nessuno a quell’epoca si aspettava d’incontrare le truppe nemiche a ridosso di Mosca. Tutti erano sicuri: «Il nemico sarà sconfitto sul proprio territorio». Così si diceva non solo in tutte le tribune durante i numerosi e vari raduni o riunioni prima della guerra, ma anche la radio e i giornali, e perfino le canzoni ci rassicuravano con le stesse parole. Noi credevamo a questi slogan. Invece eccoli lì, i carri armati nazisti stavano alle porte di Mosca. Le loro bombe cadevano dal cielo su case e piazze uccidendo numerosi cittadini, bruciando interi quartieri della capitale!
Col cuore infranto dal dolore i partigiani dovettero imparare a difendere le proprie case e famiglie, combattere reparti regolari tedeschi esperti e sicuri di sé. Vorrei ricordarti che un anno prima, durante il 1940, i nazisti avevano piegato la Francia in 44 giorni con la forza di sole 4 armate ed erano riusciti ad appropriarsi di tutte le sue industrie e dell’agricoltura. A Parigi le truppe tedesche erano entrate in due giorni il 14 giugno 1940. Il Belgio era riuscito a difendersi solo 19 giorni, i danesi solo un giorno, la Norvegia due mesi. In Italia i tedeschi tenevano durante tutta la guerra da 6 a 20 divisioni (queste ultime solo alla fine). Il 22 giugno 1941 l’Unione Sovietica era stata attaccata dai nazisti con 190 divisioni: 153 tedesche e le altre dei loro alleati. In tutto quasi cinque milioni di soldati e ufficiali, armati di innumerevoli quantità di munizioni e attrezzatura militare, oltrepassarono la nostra frontiera. Da nessuna parte in Europa, nei lunghi anni della Seconda Guerra Mondiale, si ebbero combattimenti così intensi e cruenti, duri e tragici come in terra russa. Durante questa guerra i caduti del mare e della terra americani furono in tutto 405.000, tra soldati e ufficiali. Gli inglesi 600.000, i francesi 450.000. I russi: 9 milioni di soldati e ufficiali caduti in combattimento, 3 milioni di soldati e ufficiali morti prigionieri nei lager nazisti e 18 milioni di civili sterminati dai tedeschi nelle terre occupate russe, ucraine, bielorusse e delle altre Repubbliche sovietiche. Trenta milioni di vite perse in seguito all’aggressione hitleriana, in seguito a ostinati combattimenti sul suolo dell’Unione Sovietica, una cosa mai vista prima nella storia umana.
L’Unione Sovietica dovette difendersi da quasi tutta l’Europa occupata, mobilitata e guidata dai nazisti. Nei reparti militari che attaccarono la nostra terra c’erano ungheresi, rumeni, spagnoli, italiani, cecoslovacchi e altri. Tutta l’industria e l’agricoltura della parte sottomessa dell’Europa sosteneva i militari hitleriani che avevano aggredito l’Unione Sovietica. Nell’autunno-inverno 1941-42 li vedemmo attaccare Mosca.
I tedeschi furono sorpresi dalla resistenza militare ma anche da quella della popolazione civile russa. Io ti racconterò più dei partigiani perché ne facevo parte e conosco meglio le loro azioni. Più tardi anche i tedeschi avrebbero riferito dei partigiani sovietici nelle loro memorie. Tra i primi a scriverne fu il generale Heinz Guderian, capo dell’armata di panzer che attaccarono Mosca nel 1941:
Noi sapevamo — scrisse nel suo libro — che nel 1941 vi sarebbero stati combattimenti in Unione Sovietica contro una popolazione resistente che amava la propria Patria… Durante la Seconda Guerra Mondiale questa guerriglia dietro la linea del fronte venne combattuta su larga scala ed ebbe un’influenza decisiva sull’esito di molte battaglie… Alla fine della guerra le azioni dei partigiani erano soprattutto attive e si erano estese su tutto il territorio in cui proseguivano le azioni militari. Per combattere i partigiani bisognava usare intere unità delle quali avevamo grande bisogno al fronte. Fisicamente forti e non esigenti, i russi erano molto adatti alla guerra partigiana… Questo però non si può dire dei tedeschi.
Qui il generale accenna per la prima volta all’eccellenza dei combattenti russi, tenendo conto, probabilmente, non solo dei partigiani, visto che lui stesso in seguito sarà sconfitto presso Mosca con tutti i suoi carri armati e le sue migliaia di soldati.
Naturalmente la disfatta dei tedeschi alle porte di Mosca non fu dovuta soltanto alle azioni partigiane. Da tutte le parti del Paese arrivavano altre divisioni dell’Armata Rossa in difesa della capitale e i combattimenti erano molto duri. I tedeschi erano furibondi e agivano per vendetta. Il 10 luglio 1941 per esempio, nella cittadina ucraina di Belaja Tserkov i nazisti fucilarono 90 bambini della Casa degli orfani, da pochi mesi di età a 7 anni. Prima avevano fucilato gli adulti. I bambini, su ordine dei militari tedeschi, erano stati sterminati dalla polizia dei collaborazionisti ucraini. Il 3 settembre 1941, 600 prigionieri di guerra russi furono ammazzati ad Auschwitz: su di essi vennero testate dai tedeschi le camere a gas con lo Zyklon B.
Accecati dall’ira, anche nei pressi Mosca gli hitleriani impiccavano, fucilavano, bruciavano vivi i cittadini sovietici, distruggevano le città, bruciavano i villaggi.
I nazisti si lanciarono con furia particolare contro i centri della Cultura, dell’Arte e contro gli antichi monumenti. Distrussero il monastero Novoierusalimskij, gloria dell’architettura russa del xv secolo. Bruciarono a Klin la casa in cui Pjotr Ilic Ciajkovskij era vissuto e aveva creato le sue opere musicali. Demolirono il Museo di Borodinò, dedicato alla resistenza dei russi a Napoleone. Semidistrussero, violarono e offesero la casa dello scrittore Tolstoj a Jasnaja Poljana.
Durante la conquista del Quartier Generale del 512mo reggimento di Fanteria Tedesca, gli esploratori russi trovarono un foglio di carta con l’ordine seguente:
Ogni volta che lasciamo una zona questa deve essere trasformata in un deserto. Per eseguire le devastazioni fondamentali, bisogna bruciare le case, le costruzioni di pietra devono essere fatte saltare, i cantieri annientati. Tutte queste azioni per fare il deserto devono essere eseguite senza pietà, ben preparate e completate.
Nella regione di Mosca gli hitleriani, con diligenza, riuscirono a distruggere completamente 640 villaggi, e i capoluoghi di provincia Verea, Ruza, Naro-Fominsk, Mozhajsk e Istra.
Circa 1.000 scuole, 400 ospedali furono egualmente distrutti. Ma la resistenza e la sete di vendetta dei russi crescevano.
Il 29 novembre 1941 il sovinformbjuro, fonte ufficiale di informazioni del Paese, descrive un’azione partigiana:
Distrutto il quartier generale di un corpo tedesco, nei pressi di Mosca. Sono stati presi documenti molto importanti. I partigiani hanno ucciso 600 tedeschi tra soldati e ufficiali. Hanno annientato un deposito di carburante, una base di riparazioni di carri armati, 80 carri merci, 23 automobili, 4 carri armati, delle autoblindo e una grande quantità di rifornimenti militari. È stato ammazzato anche un alto ufficiale in possesso d’importanti documenti: il colonnello Kreppel. I partigiani hanno perso 18 uomini, 8 sono stati feriti.
M. Gurjanov è stato l’eroe di queste operazioni, che si sono svolte nella regione di Ugodsko-Zavodskoj. Ferito gravemente mentre i partigiani si ritiravano, è stato catturato dagli hitleriani, che lo hanno impiccato il 27 novembre dopo tremende torture. Serghiej Solntsev, un altro comandante dei partigiani, è stato anch’egli catturato mentre era ferito e privo di sensi. I tedeschi gli hanno tagliato le dita delle mani con una sciabola, staccato le orecchie con un coltello, e perforato le gambe con una baionetta. Nel suo petto aveva già 5 pallottole. Poi l’hanno buttato nelle braci del fuoco da campo, ancora vivo, dopo averlo scalpato. Infine anche lui è stato impiccato.
Da un ordine inviato alle truppe tedesche, trovato dopo la loro disfatta presso Mosca:
Tutti i partigiani, presi e accertati indipendentemente dal sesso, in uniforme o in borghese, devono essere impiccati pubblicamente. In tutti i villaggi dove i partigiani trovano cibo o si nascondono, le case devono essere bruciate. La gente trovata lì deve essere fucilata; quelli che hanno aiutato i partigiani, devono essere impiccati.
Agli ingressi dei villaggi nei quali sono alloggiate le truppe tedesche, le sentinelle devono essere ben armate. I civili sprovvisti di lasciapassare tedesco, devono essere fucilati sul posto.
Ogni soldato in tutti i momenti del servizio o di riposo, durante i pasti, deve avere con sé la sua arma.
Gli ufficiali hanno il diritto di conferire decorazioni a tutti coloro che hanno mostrato coraggio durante gli scontri con i partigiani nella stessa misura dei conferimenti al valore attribuiti in battaglia.
La situazione era critica. Era stata mobilitata d’urgenza ogni forza disponibile per coprire e difendere, insieme ai reparti regolari dell’Armata Rossa, tutte quelle zone importantissime che portavano a Mosca.
I partigiani arrecarono agli hitleriani non pochi e significativi danni, distruggendone risorse umane e mezzi militari. Furono sterminati più di 50.000 soldati e circa 350 ufficiali nazisti, annientati più di 1.500 carri armati, autoblindo, carri merci, cannoni, oltre a 6 bombardieri e diversi caccia.
Il Maresciallo Zhukov apprezzò molto l’attività dei partigiani presso Mosca. Molti di loro ricevettero la medaglia di ‘Eroe dell’Unione Sovietica’, il riconoscimento più alto, e altre citazioni all’ordine, onorificenze, distinzioni.
Tra l’ottobre 1941 e il 2 febbraio 1942 le forze dell’Armata Rossa sconfissero e annientarono nei pressi di Mosca 38 divisioni di nazisti, fra cui 11 di carri armati. Furono abbattuti 1.300 aerei. I tedeschi persero una enorme quantità di artiglieria, vari mezzi di trasporto e quasi cinquecentomila soldati e ufficiali. Centinaia di migliaia erano feriti, gli altri furono respinti fino a 250 km da Mosca.
Il 24 gennaio 1942 la regione di Mosca era stata ripulita degli invasori hitleriani. Gli orrendi delitti dei nazisti avevano aumentato l’odio della popolazione e dei soldati russi. Diciassette province erano state liberate completamente e dieci solo in parte.
Penso che per te sarà difficile immaginare il quadro immenso di questa battaglia intorno a Mosca, la partecipazione di tantissime unità meccanizzate, di centinaia di migliaia di soldati e ufficiali, la grande quantità di feriti e caduti in questo gigantesco combattimento. Ma se aggiungi ai cinquecentomila caduti tedeschi in questa battaglia, altrettanti e forse anche più caduti tra i difensori di Mosca, avrai una quantità uguale di abitanti della tua città nativa, Milano: un milione! Riesci a immaginare un milione di cadaveri congelati alla temperatura di -40°C ricoperti o meno dalla neve?
Insieme alla vittoria arrivò per i moscoviti il tremendo dovere di seppellire nella terra gelida, imbevuta, zeppa di sangue questo milione di caduti. Dividere e portare lontano gli uni dagli altri; inumare gli uni con odio, gli altri con lacrime e dolore nel cuore.
Questa tragedia continua tuttora, e non solo perché la ricordiamo. Decine, forse centinaia di migliaia di feriti, oggi invalidi, patiscono ancora aspettando nella sofferenza la propria fine.
Senza braccia o gambe, con i polmoni traforati dalle pallottole, ciechi e pieni di ferite che ricordano indelebilmente quella guerra. Pensa a tutto questo. Tante volte le cifre e i comunicati nascondono l’orrore tangibile dei tragici avvenimenti di guerra.
Durante la Seconda Guerra Mondiale simili perdite e distruzioni non avvenivano solo a Mosca. Altri tre anni ancora avrebbero visto combattimenti, disastri e tragedie: dopo Stalingrado un’immensa battaglia di migliaia di carri armati vicino alla città di Kursk, poi la battaglia per la salvezza di Leningrado e altre ancora. Per anni queste terre piene di sangue, di migliaia di carri armati distrutti, di cannoni di artiglieria sfasciati, di aerei abbattuti, di pezzi di ferro, di munizioni usate e arrugginite, di tombe di milioni di combattenti caduti, non poterono più generare. Per tre quattro anni su queste terre non crebbe nulla, né grano, né qualsiasi altra coltura agricola che prima della guerra sfamava milioni di cittadini sovietici.
Dopo la difesa di Mosca, i partigiani continuarono a combattere i tedeschi spostandosi nelle retrovie dell’armata nazista in altre regioni del Paese. Il pericolo di nuovi attacchi nazisti era elevato. Il comando tedesco stava portando alle nuove posizioni munizioni, armi e soldati freschi.
Un mio commilitone mi ha raccontato com’era stato organizzato uno dei reparti che doveva agire nelle retrovie tedesche. Raccontava Gheorghij Osipov:
Una volta il nostro attuale comandante maggiore Sproghis fu chiamato dal capo del Quartiere Generale del Fronte dell’Est, Generale Sokolovskij: «Voi professionisti sapete bene qual è la situazione sul fronte – disse il generale – adesso è importante conoscere i piani e la forza attuale del nemico in Bielorussia, perché sulle strade e ferrovie di Bielorussia arrivano i vettovagliamenti militari per le truppe tedesche. Quindi la ricognizione e le azioni militari attive devono avere luogo in quella regione con sabotaggi sulle ferrovie, distruzione di ponti, di depositi di petrolio e attacchi improvvisi alle piccole guarnigioni e ai punti di polizia nemici».
Così doveva agire in Bielorussia il reparto 9903, dopo i combattimenti presso Mosca. Questo reparto, guidato da Sproghis, era internazionale. Ne facevano parte russi, ucraini, bielorussi, armeni, lituani, lettoni, tartari, komi, ebrei, ed erano scelti dal lèttone Sproghis personalmente. Molti di loro erano volontari provenienti dall’Unione della Gioventù Comunista. Ma erano stati accolti tra loro anche dei tedeschi antinazisti, come i fratelli Alfred e Victor Kenan e il loro amico Kurt Remling. Il padre di questi fratelli era un comunista tedesco che aveva partecipato al terzo congresso del komintern a Mosca, Bernard Kenan. Questo carattere internazionale non era eccezionale nell’Armata Rossa, infatti anche in altri reparti si trovavano molti spagnoli, reduci della guerra di Spagna del 1936-38 e forze provenienti dalle oltre cento nazionalità dell’Unione Sovietica.
La preparazione militare era perfezionata in un corso intensivo, impartito dagli ufficiali del reparto 9903.
Questa preparazione comprendeva: lanci con il paracadute, manutenzione del paracadute, tiro a segno con diverse armi, judo, uso della radiotrasmittente, perfetta dimestichezza con mine di vario tipo e così via.
Le azioni più importanti e pericolose erano capeggiate dallo stesso Artur Sproghis.
Man mano, a piccoli gruppi di dieci-dodici persone, quelli che facevano parte del reparto 9903 di Sproghis erano paracadutati nelle retrovie dell’armata tedesca.
Recensioni
Ancora non ci sono recensioni.