Pubblichiamo qui di seguito le prime sedici pagine di Street Philosophy, di Marcin Fabjanski
Su scala globale, quel cittadino del Regno Unito non costituiva certo un’eccezione. Pensare ha il potere di uccidere in qualsiasi società, cultura o clima (non soltanto in quello inglese). Nel 2008 fu Chayya a uccidersi: una sedicenne di Nuova Delhi, località raramente sfiorata da nebbie o piogge. Temeva che l’acceleratore di particelle, proprio allora sul punto di essere attivato dagli scienziati in Svizzera, avrebbe provocato il collasso dell’universo. La paura di morire era peggiore per lei della morte stessa.
La morte causata dal pensiero non è una follia dei nostri tempi. Persone di epoche molto lontane si sono tolte la vita a causa di un pensiero. Il filosofo francese Michel de Montaigne, fautore dello stoicismo, descrisse un interessante caso, verificatosi nei tempi antichi. Diodoro il Dialettico morì di colpo perché – nella sua stessa scuola, davanti ai suoi stessi allievi – non era stato in grado di risolvere un problema che gli era stato sottoposto.
Questo esempio (così come quello inglese) dimostra quanto i pensieri zeppi di parole come ‘io’ e ‘mio’ risultino particolarmente distruttivi. Esistono individui per cui è più semplice morire che porre a rischio il proprio ego: persino in un caso banale, come un attimo d’imbarazzo provato da un insegnante. In seguito torneremo sul ruolo dell’ego nei disastri che scateniamo dentro di noi, per colpa del pensiero. Per ora ci limiteremo a dire che Montaigne non aveva torto, quando scriveva: «Ogni fede è abbastanza forte da farsi abbracciare a prezzo della vita».
Se pensare può giungere a ucciderti, con molta più facilità può renderti infelice. Pensando – e non pensare è impossibile per un homo sapiens – scherziamo col fuoco. E non ce ne importa. Siamo forse troppo occupati? Certo, a guadagnare denaro lavorando, a viaggiare in rete, a esercitare i muscoli in palestra. Non ci impegniamo a controllare i nostri pensieri; ci limitiamo a lasciare che la bomba a orologeria continui a ticchettare, una bomba a orologeria pronta a esploderci in testa.
È da come pensiamo e da niente altro che dipende la nostra felicità, o la nostra mancanza di felicità, come affermano gli stoici. Dal pensiero, non dal denaro, dal successo o dal potere. Impara a pensare nel modo giusto e sarai sempre felice. Controlla il flusso mentale interiore: l’affollarsi di pensieri, opinioni, grumi di frammenti raggelati del passato, illusioni, modelli comportamentali e preconcetti che assorbi dal mondo circostante in modo del tutto acritico (a meno che tu non sia un filosofo). In caso contrario, tutto quel caos inizierà a controllarti. E continuerà a distruggerti. Come accade quasi sempre.
«Molti vivono portandosi dietro, nella mente, un torturatore che seguita ad attaccarli, imponendo loro svariati tipi di punizioni e succhiando l’energia vitale», scrive un maestro spirituale contemporaneo, Eckhart Tolle. Millenni prima di lui, gli stoici tentarono di domare questo torturatore e di spingerlo a lavorare per i propri fini. Ci provarono tutti, a cominciare da Zenone di Cizio (il fondatore della scuola stoica, vissuto nel IV secolo avanti Cristo), passando attraverso Seneca, Epitteto e Marco Aurelio, per arrivare ai terapisti cognitivi contemporanei. Il pensiero stoico si percepisce anche negli scritti dei padri medievali della Chiesa, di filosofi moderni e di autori contemporanei. Lo stoicismo, sotto svariate spoglie, fu il motivo dominante della filosofia antica, anche se noi la identifichiamo principalmente con Platone e Aristotele. Poi, con il trascorrere del tempo, perse il proprio ruolo culturalmente produttivo nei confronti del Cristianesimo.
Gli stoici non erano semplicemente persone a cui non importava di nulla, come si potrebbe desumere dal significato attribuito popolarmente alla parola ‘stoicismo’. Non erano indifferenti al corso degli eventi: al contrario, s’impegnavano con costanza in un attivo dialogo mentale con se stessi. Per Epitteto, gli avvenimenti erano come le combinazioni che si ottengono lanciando i dadi: indipendenti dai nostri desideri, incontrollati. Né buoni né cattivi. Era piuttosto il nostro atteggiamento nei confronti di quelli a rientrare nella portata delle nostre possibilità.
Gli stoici non meditavano su argomenti astratti, come tendiamo ad aspettarci facciano dei filosofi con la testa tra le nuvole, sebbene avessero una propria concezione dell’universo. Al contrario, preferivano imparare a giudicare ciò che sperimentiamo, così che l’esperienza fosse valutabile secondo la realtà e la gente non agisse sull’onda di illusioni mentali. Raccomandavano di valutare se ciò che sperimentiamo sia davvero un bene o un male, perché non sempre possiamo fidarci delle reazioni automatiche della mente e del corpo.
Il passo successivo consiste nel determinare se dovremmo reagire e come.
Gli stoici ricorrevano a svariate tecniche, come gli esercizi dell’immaginazione: esperimenti intellettuali, intensificazione di visioni interiori, ripetizione di formule stoiche nella mente. Tenevano diari personali, che funzionavano come una sorta di terapia, ed è così che videro la luce le Meditazioni di Marco Aurelio, uno dei libri più affascinanti della filosofia antica.
Nelle Meditazioni si osserva la natura con la curiosità di uno scienziato moderno, ma senza la medesima tendenza a collocarsi al di fuori della natura stessa. Viene creata tutta un’armatura di strumenti mentali, capaci di fare affiorare la nostra sorgente interiore di felicità, seppellita sotto i detriti di abitudini culturali inveterate, quali la ricerca di un appagamento sconsiderato esclusivamente nel mondo delle sensazioni.
Lo stoicismo ci ha donato e continua a donarci libertà. Gli esercizi filosofici inventati nel I secolo d.C. dallo schiavo Epitteto hanno il potere di spezzare le catene che imprigionano gli schiavi contemporanei del consumismo, delle multinazionali e di numerose convenzioni. Ma non soltanto questo. Lo stoicismo è un pratico arsenale di tecniche meditative e contemplative, in grado di fornire una chiave interpretativa del nostro mondo interiore e del mondo in generale, cambiando la nostra percezione della realtà e sbarazzandoci delle illusioni. Ci rendono resistenti alla sofferenza, massimizzano la nostra creatività e ci rendono indipendenti dagli altri. È anche probabile che – proprio come la meditazione buddista – attivino aree del cervello inattive o raramente usate, dal momento che esercitano l’abilità di pensare fuori dai consueti e logori schemi.
Street Philosophy non è che un’introduzione al mondo delle affascinanti possibilità offerte dalla filosofia stoica. Un semplice assaggio della saggezza degli antichi filosofi, secondo le capacità dell’autore. Non si tratta di un tentativo di descrivere o interpretare la tradizione filosofica nota con il nome di stoicismo; dunque, se sei per caso uno studente di filosofia, non servirti di questo volume per preparare un esame. Mi sono soltanto sforzato di mostrare che gli esercizi filosofici degli stoici possono trovare un impiego pratico, anche oggi. Se questo libro riuscirà a incoraggiare qualcuno a leggere le opere degli stoici, avrà già raggiunto il proprio obiettivo. Perché basta leggerle per aiutarci a vivere.
Non prometto, come a volte fanno gli autori di manuali, che queste pagine ti insegneranno come guadagnare un milione di euro o come ottenere il cosiddetto ‘successo’. Al contrario: guadagnare denaro potrebbe perdere per te fascino, se non è legato al conseguimento della tua passione più autentica, e così pure la realizzazione di obiettivi che la nostra cultura dà per scontati, come la carriera. Se non ti senti pronto per questo, ricolloca il libro sullo scaffale da cui sei stato tanto sconsiderato da toglierlo, e lascia la libreria in cui sei appena entrato, restando nel tuo bozzolo di dolci illusioni. Street Philosophy è un libro per chi è disposto a correre dei rischi.
Il percorso seguito dagli stoici è dissestato e pericoloso. Sebbene la maggior parte delle tecniche descritte in questo volume funzioni subito, un atteggiamento stoico alla vita non si può ottenere da un giorno all’altro. Gli antichi maestri, questo, non lo promisero mai. E neppure attrassero discepoli con la prospettiva di raggiungere un mondo ideale, come i portabandiera delle utopie sociali e religiose. Si chiedevano addirittura se in natura esistesse davvero una creatura come il saggio stoico, o se si trattasse soltanto di un ideale irraggiungibile. Eppure consideravano l’atteggiamento stoico il più degno per un essere umano.
In Street Philosophy ho descritto trentanove tipiche situazioni di tutti i giorni in cui spesso soffriamo più del dovuto perché ci lasciamo tiranneggiare da pensieri morbosi. Ciascuna situazione è correlata di un antidoto stoico. Va da sé che non ho esaurito tutte le possibilità, per quanto riguarda le situazioni, e neppure le soluzioni. Ma la maggior parte dei suggerimenti stoici funziona in circostanze diverse, o meglio, in tipi diversi di circostanze. Una tecnica efficace, quando si è bloccati ‘senza speranza’ in un ingorgo, probabilmente non vi tradirà nemmeno se state facendo la fila in un ufficio postale, o attendete il check-in all’aeroporto.
I metodi stoici vi sottrarranno all’inferno di molte situazioni frustranti. Ne hanno il potere. Se li usate spesso, potrete raggiungere il paradiso degli stoici, il quale non è altro che uno stato mentale. Più precisamente: una serie di stati mentali, un atteggiamento generale nei confronti della vita. Gli antichi greci lo chiamavano apatheia e, contrariamente a quanto si ritiene, non si riferivano all’apatia. Sono convinto che alludessero all’eccitante condizione in cui si gode della propria libertà, quando la mente cessa di essere schiava dei desideri. Potete raggiungerla anche voi.
Osservazioni tecniche
Le massime filosofiche citate in questo volume si possono suddividere nelle seguenti categorie:
Facili, intuitive e prossime al buon senso comune (*)
Che richiedono riflessione, non evidenti (**)
Che oltrepassano i modelli cognitivi abituali (***)
Ricade tutto sulle mie spalle. Come è possibile lavorare in condizioni simili? Perché non pensano che anche a me piacerebbe riposare un po’, che ho una famiglia e degli hobby, oltre a dover correggere gli errori dei colleghi. Basta così! Me ne vado. Darò le dimissioni… anzi, meglio, mi licenzierò in tronco. E, quando mi richiuderò la porta alle spalle, la sbatterò ben bene. Prima, però, scriverò a tutti una e-mail, per informarli di ciò che penso davvero di loro.
Qualcuno si lava in pochissimo tempo? Non dirgli che fa male, ma che lo fa in pochissimo tempo. Qualcuno beve grandi quantità di vino? Non dire che fa male, ma che beve grandi quantità. Perché, a meno che tu non comprenda alla perfezione il principio in base a cui ciascuno agisce, come fai a sapere che agisce male? Così non correrai il rischio di credere a qualsiasi apparenza, ma solo a ciò che comprendi appieno.
— Epitteto
Epitteto obietta contro l’automatismo con cui traiamo conclusioni. Ci dice di fermarci al livello delle osservazioni, anziché usarle come base per giungere a conclusioni premature. Una persona che fa la doccia molto in fretta, fa la doccia molto in fretta e basta. L’asserzione che sia uno sciattone è ingiustificata.
Non possiamo precipitarci a valutare il prossimo, anche perché conosciamo soltanto le sue azioni, ma ne ignoriamo lo stato mentale o l’atteggiamento morale. E sono tali due elementi a contare di più, in un essere umano, perciò se c’è qualcosa da valutare, sono questi.
L’immagine superficiale può essere molto convincente. Chi beve alcool deve essere per forza un ubriacone; chi non va in chiesa un peccatore, chi segue le soap opera un idiota sentimentale. Sputiamo sentenze automaticamente, perché siamo troppo condizionati dall’ambiente, da migliaia di opinioni e convinzioni. Gli stoici dicono: non permettere agli altri di programmarti. Chiunque siano: insegnanti, custodi delle tradizioni e degli usi più svariati, oppure sacerdoti. Pratica il libero giudizio e sarai libero.
Esistono perlomeno due modi per evitare di farsi esasperare dai colleghi.
1) Distinguere tra individuo e azioni. Anche se qualcuno danneggia chiaramente un progetto a cui lavorate entrambi, ciò significa soltanto che ha fatto un lavoro raffazzonato, non che è un incapace. Un filosofo non salta così facilmente alle conclusioni.
2) Pensa a te stesso. Non hai mai fatto nulla di ciò che trovi tanto irritante negli altri? Magari conclusa una brutta giornata, hai bevuto tre pinte di birra in un pub, dopo il lavoro. Be’, ti è stato difficile trovare comprensione, non è così? Qualcuno allora non avrebbe potuto scambiarti per un ubriacone? E, in tal caso, non si sarebbe potuto spingere un po’ più oltre e giungere alla frettolosa conclusione che eri stato tu a rovinare il piano di lavoro della società? Se non vuoi essere criticato, non criticare il prossimo. Ricorda: quando Gesù invitò chiunque non avesse peccato a scagliare la prima pietra, non trovò volontari.
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