Se Dante avesse voluto indicare il peccato, avrebbe usato quel termine invece di “selva oscura”. È un luogo, invece, in cui si trova anche del bene, come emerge dall’intervista di Antonella Nocera per “Bibliovorax” del 02/06/2019.
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Isabella Nocera: «Vorrei chiederti del titolo del tuo lavoro, La selva oscura (Lemma Press 2018) che mi sembra interessante perché richiama un’immagine ben precisa ma allo stesso tempo ricca di suggestioni polisemiche e aperture simboliche. La lettura allegorica più accreditata che poi è divenuta anche l’interpretazione “vulgata” è quella del peccato che ottenebra l’uomo e devia dal percorso virtuoso. Potremmo considerarla l’allegoria madre della Commedia ma come mi pare suggerisci tu, anche molto altro».
Gianni Vacchelli: «Secondo me la selva oscura è una delle immagini più geniali della commedia. Come dici tu la vulgata esiste e ha anche una sua utilità.
Anche didattica, se vogliamo.
A volte ironizzo e dico Dante era bravo con le rime, pertanto se avesse voluto usare la parola peccato l’avrebbe usata. Selva oscura invece è un’immagine complessa: è un bosco, sogno, incubo, superfiaba, onirica, reale?. A volte ho pensato selva oscura fosse l’esilio. Ma se avesse scelto questa parola il senso sarebbe stato limitato alla propria esperienza personale. La selva oscura per me, come scrivo nel mio libro, invece può essere una grande zona d’ombra della realtà personale, uno smarrimento un caos esistenziale, una depressione. Una volta una mia studentessa che vuole il caso si chiamasse Beatrice, mi scrisse in un tema: “Per me la selva oscura è l’anoressia e Dante mi dà la speranza di poterne uscire” e questa cosa mi commosse. E’ chiaro che dante non pensasse all’anoressia ça va sans dire, ma per lei significò questo. Vale la pena di ricordare quei famosi versi “ma per trattare del bene ch’io vi trovai e delle altre cose che io vi ho scorte” come primo cortocircuito di un sistema complesso».
Dall’intervista di Isabella Nocera a Gianni Vacchelli, su “Bibliovorax” del 02/06/2019, a proposito di:
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